Michelangelo

In Michelangelo lo struggimento esistenziale si fa Arte e travalica i confini spazio temporali della dimensione umana

Irrequieto lo fu sempre e, sin da piccolo, pur avendo nobili origini, manifestò una naturale propensione per l’#Arte. E l’Arte, nelle sue molteplici espressioni, fu per Michelangelo madre, delirio, vita. 

Rimasto orfano di madre infatti ad appena 6 anni, il rapporto ancestrale con la figura materna si espresse in forme muliebri di straordinaria bellezza. Potenti, terrene, ma divine nelle loro fattezze.

Ne è un esempio lampante la Pietà, l’opera giovanile di Michelangelo, scolpita dal 1497 al 1499, che consegnò l’artista all’immortalità. Un gruppo scultoreo in cui l’autore, pervaso da un’ispirazione unica, utilizza per la prima volta il marmo di Carrara. Un materiale prezioso e al quale rimarrà fedele anche in molte opere della sua produzione successiva.

Michelangelo, nato a Caprese nel 1475, già a 12 anni aveva iniziato la sua formazione di artista presso la Bottega del Ghirlandaio, e subito aveva dimostrato un talento innato ed un impaziente furore che voleva esprimersi in moduli nuovi, innovativi. Moduli che, tuttavia, non potevano essere circoscritti alla pittura, ma cercavano una materializzazione nella corposità della scultura.

Ma in lui pittura e scultura si fanno espressione di un’unica voce, quella del divino che si fa umano. Ed è questa la chiave di lettura delle meraviglie della Cappella Sistina, in cui l’apoteosi del #genio artistico si fa intuizione di una nuova dimensione che trascende i limiti spazio temporali, pur preservando la plasticità terrena.

La fama

L’artista toscano ebbe una lunga vita (morì infatti a 89 anni, nel 1564) ed ebbe un successo straordinario immediato, ma i suoi conflitti interiori si espressero in un carattere introverso e poco accomodante.

Ben consapevole del suo talento, fu poco incline ai compromessi, ma seppe comunque fare tesoro, sotto il profilo economico, della sua #Arte. Una contraddizione? Probabilmente, ma Michelangelo volle forse dimostrare al padre Ludovico la sua capacità di superare i limiti di una mentalità che vedeva nelle attività artistiche un decadimento sociale. E la ricchezza fu il suo riscatto.

Fu acclamato, ricercato dai più ricchi committenti, espressione di una nuova classe economicamente potente, dopo la stagione della Firenze medicea. Ed è proprio su commissione che il grande artista eseguì il Tondo Doni, dal nome della famiglia che lo commissionò.

Un’opera, questa, che stravolge totalmente le caratteristiche dell’iconoclastica tradizionale. La Sacra Famiglia, in essa rappresentata, infatti ha un carattere estremamente terreno sia per i tratti somatici dei personaggi, che per lo stretto legame esistente tra loro, espresso dall’andamento circolare delle braccia dei singoli protagonisti. Queste, infatti, creano un corpus unico, indissolubile. Simbolo di amore terreno, divino nella sua indissolubilità

Ma è sorprendente come le dimensioni corporee determinino, nella loro plasticità, la profondità dell’immagine, in cui il punto di vista è focalizzato dalla centralità della Famiglia.

Insomma appare evidente come in questo genio del nostro #Rinascimento si abbia un rapporto nuovo, rivoluzionario con la divinità, che si fa concreta, tangibile. Siamo ben lontani dalle coercizioni medievali che imponevano lo slancio del microcosmo umano verso il macrocosmo divino.

Nel Rinascimento l’uomo si riappropria della propria lbertà intellettuale e il macrocosmo diviene simbiotico con il microcosmo. Ne fanno testimonianza artisti incredibili quali Michelangelo, Botticelli, Leonardo, nei quali e per i quali la bellezza é espressione di quell’armonia che non é solo contemplazione estatica , ma é anche linfa vitale.

#IrmaSaracino