Avvolto dalla leggenda, l’Aventino raccoglie le storie e gli enigmi del passato, fondendoli con la bellezza dei luoghi che domina.
Si percepisce, forse in maniera ancora più intensa, il profumo della Storia sull’Aventino. E #Roma si presenta in tutta la sua eterna e spudorata bellezza nello spazio remoto del tempo e della memoria.
Noto per essere stato uno dei mitici sette colli su cui sorse l’Urbe, ancora oggi custodisce le antiche leggende e le verità di un passato che vive nel presente.
Declinando dolcemente sul Tevere, nei pressi del Circo Massimo, questo colle è uno dei luoghi più esoterici della Capitale.
Di forma trapezoidale, già nella sua dimensione reca il mistero e il linguaggio segreto dei Templari e dei Cavalieri di Malta, che su di esso eressero le loro sedi.
Ricco di chiese antichissime, ci parla di culti pagani, ma anche cristiani, che si sovrappongono fino a cavalcare l’onda dello spazio e del tempo.
Ed è proprio in una di queste chiese che, ancora oggi, è visibile la traccia, anzi l’artiglio del Maligno. La pietra del #diavolo, all’interno della Basilica paleocristiana di Santa Sabina, stupisce i visitatori e domina la scena dell’antitesi perpetua: il bene, il male.
La Basilica di Santa Sabina
Priva di una facciata, la Basilica, che ha origini remotissime, è inglobata nell’atrio, all’interno del monastero domenicano, ma sorprende subito i visitatori per il suo portale ligneo che raffigura scene dell’Antico e del Nuovo testamento.
La chiesa inoltre è dedicata ad una patrizia romana, decapitata nel 120 d.C., durante le persecuzioni del II secolo, perché convertitasi al cristianesimo per influenza dell’ancella Serapia. E le sue spoglie sembra che siano appunto custodite all’interno della Basilica che fu fondata nel 425 d.C., durante il pontificato di Celestino I ed ultimata nel 432 sotto Sisto III, sul luogo precedentemente occupato dal “titulus Sabinae”.
Le tre navate del suo interno scandiscono lo spazio con la maestosità delle 24 colonne marmoree appartenenti al “Tempio di Giunone Regina”, che sorgeva nelle vicinanze. Secondo una consuetudine radicata nell’edilizia dell’epoca di riutilizzare materiale di precedenti costruzioni.
Ma, perdendosi nella bellezza della struttura, il visitatore viene attratto da una colonna romana tortile, che sembra fuoriuscire dal pavimento della navata destra.
Su di essa, l’ #enigma: una pietra nera di forma ovale, che sulla sommità presenta dei fori bruciati.
La pietra del diavolo
La tradizione vuole che in questo luogo, nel lontano Medioevo, San Domenico si raccogliesse in preghiera di notte.
Ma il #diavolo, mal tollerando l’intensa pietà con cui S. Domenico pregava sul sepolcro contenente le ossa di alcuni martiri, gli scagliò contro questa pietra. Questa non colpì il santo, ma infranse la lapide che copriva il sepolcro. Le spaccature, sia sulla lapide che sulla pietra, sono ancora ben visibili.
E i fori, presenti sulla sommità di essa, in parte bruciati, sarebbero le impronte degli artigli del diavolo.
Verità? Leggenda? Qui la Storia si perde nel buio dell’ #enigma, sulla soglia di quel limite della conoscenza e della razionalità, che non ci è dato valicare.
#IrmaSaracino