Sul palco del Teatro San Carlo di Napoli, l’Otello di Martone, rappresentazione teatrale liberamente ispirata all’Otello di Verdi.

Gli ingredienti c’erano tutti sulla scena del San Carlo di Napoli, nel tanto discusso #Otello di Mario Martone, regista fin troppo aperto a ‘ventate’ innovative.

Ingredienti forse fin troppo studiati, tanto da apparire forzati e sovrabbondanti. Volti a lasciare un segno indelebile nella storia del melodramma.

Gli ingredienti

 Un’ ambientazione scenica di sapore mediorientale. Corredata da notevoli trovate quali l’arrivo dal mare di un gommone di migranti.

Effetti cromatici straordinari. In grado di proiettare gli spettatori nelle fantastiche atmosfere delle notti nel deserto.

Ospedali da campo, atti a curare le piaghe di bambini sofferti, ma pronti a intonare un corale.

E, per finire, loro: i protagonisti della scena, con le loro passioni, i loro tormenti, le loro insicurezze.

Un dramma nella tragedia

Un vero ‘pasticcio’, totalmente privo di una sua logica, per lo spessore stesso dei personaggi e per le ‘trovate’ sceniche affatto pertinenti alla dinamica degli eventi.

#Desdemona, compunta soldatessa, pronta al saluto militare, ma anche ad impugnare le armi contro l’uomo che ama. Desdemona , o chi per lei,  donna decisa, per niente soccombente alla cieca gelosia del fragile #Otello, ridotto a soldatuccio di bassa leva.

#Jago, genio del male, tessitore occulto di una trama dominata dall’invidia.  E, infine, gli altri. Figure anomale di un tessuto narrativo non meglio identificabile.

Il tutto accompagnato da un testo, marchiato Boito, non rispondente all’azione scenica e all’ambientazione, nonché dalla prorompente musica di Verdi.

Insomma una rappresentazione che ( almeno nelle intenzioni del regista) avrebbe voluto rappresentare il riscatto identitario della donna, ma soprattutto i demoni perenni dell’uomo.

Un vero ‘guazzabuglio’ di effetti scenici, curati da Margherita Palli, indubbiamente lodevoli, che hanno stupito gli spettatori, ma  affievolito il pathos emotivo dei personaggi, svilito al rango di elemento accessorio.

Gli interpreti

Così Verdi ha assistito al naufragio delle passioni da lui descritte con la sua musica, malgrado la straordinaria direzione orchestrale del maestro Michele Mariotti .

Otello, interpretato dal divo Jonas Kaufmann, divenuto bianco per l’occasione, e quindi dimentico delle sue frustrazioni di ‘moro’, ha convinto poco. E la voce di  Igor Golovatenko, nei panni di #Jago, ha spesso sovrastato la vocalità di colui che è considerato il più grande tenore al mondo.

Mentre ha riscosso consensi unanimi Maria Agresta, calata nel ruolo della soldatessa #Desdemona, per niente distolta da un testo non rispondente all’azione scenica.

Ma vero protagonista è stato il coro del Teatro San Carlo, che, malgrado le tute mimetiche, ha saputo ricreare quel crescendo di emozioni tanto caro all’opera lirica.

La regia di Martone

Se Martone, in un delirio di autostima, voleva far parlare di sé, c’è riuscito appieno. Il suo #Otello, infatti, ha lasciato un marchio indelebile nella storia di una delle più belle opere liriche verdiane. Un marchio che ha diviso il pubblico, ma  è riuscito comunque a creare clamore.

 Il grande condottiero è divenuto un burattino nelle mani di Jago, tanto da apparire come un fantoccio. E non importa se le insoddisfazioni di Otello, provato da discriminazioni razziali, siano state cancellate totalmente.

Quel che conta, purtroppo, è essere protagonisti. Ma Martone ha dimenticato forse l’essenza del teatro: l’aderenza del testo all’azione che lo rappresenta.

E così questo Otello, avvolto dal sipario protettivo del silenzio mediale, tra i ‘buu’ della prima e gli applausi tiepidi di chi é stato abbagliato dalla scenografia, continuerà a riempire con le sue atmosfere di guerra la magia del San Carlo di Napoli.

#IrmaSaracino