L’arte si colora di vita e la vita è nell’arte in Vincent Van Gogh. Un pittore che ci regala squarci di una realtà metafisica.
Vita, morte, #arte, follia, tutto è estremo in Vincent Van Gogh. Un artista che indaga il vero mascherandolo di realtà. Un artista che vive e sente la #natura, percependone i colori che sanno d’immenso.
Scorci di vita
Nato in una realtà socio affettiva fortemente cogente, nel 1853, Van Gogh, vive nella sua breve esistenza tutte le contraddizioni della sua Olanda, i rigorismi etici della figura paterna e i suoi spazi creativi in modo conflittuale. Quasi facendosene una colpa.
E il suo equilibrio, invero precario, viene minato fortemente da questo clima coercitivo che lo limita, lo rende pavido, ma nello stesso tempo lo stimola a fuggire.
Alla ricerca di una nuova realtà, alla ricerca di se stesso. Quel sé che egli troverà nell’ #arte che in lui si muterà in parola, in #vita.
L’Olanda dell’800
Zundert, paese natale di questo straordinario artista, contava all’epoca una popolazione di appena 6.000 anime. E la quotidianità era vissuta spesso nell’indigenza, come più tardi il giovane Vincent raffigurerà nelle sue opere.
Il lavoro dei campi, quello nelle miniere avvolgeva la comune esistenza di toni e colori cupi che ritorneranno poi in gran parte della pittura olandese.
Non c’era spazio per i fermenti innovativi che già caratterizzavano altrove la seconda metà dell’800, precorrendo la grande rivoluzione del’ 900. E la vita si consumava in una quotidianità che annullava l’identità.
Unica speranza, vissuta poi da Van Gogh in forma ossessiva, era quel ricorso al Divino che poteva riaccendere la visione di una #vita migliore.
I primi anni della vita di Van Gogh
In un contesto del genere, ossessionato dalla figura paterna ( un pastore protestante) Vincent, dopo aver compiuto i suoi studi, decide di diventare predicatore della parola di Dio. Si reca quindi a svolgere la sua missione nel Nord dei Paesi Bassi, una zona estremamente povera.
Qui vive come gli ultimi e con gli ultimi, i dimenticati. Ma il suo operato é infruttuoso. Troppa la disperazione della gente di quel posto!
Decide quindi di dare voce e volto a quella realtà, a quella sofferenza e, dal 1879, si dedica al disegno, per il quale mostra una propensione naturale non supportata però da un’adeguata tecnica. Di conseguenza prende alcune lezioni a Bruxelles e a l’Aja, ma la sua insofferenza a ogni regola lo porta a interrompere gli studi nel settore.
Malgrado ciò, in maniera quasi febbrile, comincia, specie dal 1880, a produrre una serie di opere che raffigurano non già il reale, ma il vero. L’essenza di questa quotidianità da lui condivisa in precedenza.
Il passo dal disegno alla pittura é consequenziale, ma in questo campo sopperisce alle sua scarse competenze tecniche con sperimentazioni, talvolta azzardate. Come nel caso delle donne che portano sacchi di carbone.
Un’opera prodotta su carta, dove mescola l’uso della matita al gessetto e all’acquerello, riuscendo comunque a trarre una grande potenza espressiva.
Ma il suo capolavoro di questa fase sono senz’altro i mangiatori di patate.
Qui i volti segnati dei contadini sono quasi grotteschi nelle loro deformazioni, così come le mani, ma l’intimità familiare è espressa dalla condivisione di un misero piatto di patate, posto al centro della tavola.
Parigi, la Francia
Nel 1886 raggiunge il fratello Theo a Parigi, all’epoca fulcro deI fermenti culturali e ideologici di quello scorcio di secolo.
E’ la Parigi dei Cafè , dei Bistrot, che rappresentano luoghi d’incontro e di confronto tra poeti, pittori, artisti provenienti da ogni dove.
E’ la Parigi degli impressionisti, di coloro che esigono un radicale mutamento dei canoni della pittura. Degas, Monet, Pissarro fanno sentire la loro voce, mentre si percepisce il cambiamento dei moduli espressivi dell’Arte.
Van Gogh, però, è restio a ogni catalogazione e cerca una sua espressione artistica. Originale, nuova. Elabora così una sua tecnica, che rappresenterà poi un unicum. Usa il pennello come una matita e ripropone le linee di contorno per le immagini. Immagini che hanno una dimensione nuova, definita dal tratteggio.
Apoteosi del colore
Si trasferisce quindi, nel 1888 nel Sud della Francia, ad Arles, in Provenza e qui dà forma e vita ai suoi capolavori che esprimono una #natura percepita nella sua essenza.
Il colore diviene il vero protagonista e il cromatismo di queste sue nuove opere stupisce per i suoi toni accesi, di certo non rispondenti al reale, ma all’anima della natura.
Domina il giallo, in tutte le sue varie sfumature e anche gli oggetti più insignificanti, spesso ripetuti, hanno una luce nuova.
L’epilogo
In quello stesso anno, purtroppo, il suo equilibrio psichico peggiora tanto da culminare nel tragico episodio della mutilazione dell’orecchio. Sembra dopo un litigio con Gauguin, suo caro amico.
Si fa ricoverare in un centro di cura psichiatrica a Sain Remis. Sua unica compagna la pittura!
Le cure mediche, però, non producono i risultati sperati e torna nel’90 a Parigi dove incontra l’amato fratello Theo. Vi rimane pochi giorni e approda poi a Auvers-sur-Oise. Qui morirà suicida( secondo le fonti ufficiali) all’età di 37 anni.
Vincent Van Gog, in circa 10 anni, ha prodotto oltre 900 dipinti e tantissimi disegni, ma ne ha venduti solo 2 o 3.
#IrmaSaracino