Avvolta da un alone di leggenda, la mafia affonda le sue radici nella storia e nella realtà socio culturale della Sicilia dell’800
Pensare che la mafia sia radicata esclusivamente nel tessuto sociale della Sicilia è fuori luogo ed è cosa nota a tanti. Ma senza dubbio appartiene a quel tipo di cultura il silenzio omertoso di molti, rotto solo dagli appelli, dalle voci di quanti ( specie giovani) cercano quella libertà che è negata loro da questa piramide occulta di potere.
Domina comunque il silenzio, dovuto prevalentemente alla paura, ma anche in buona misura a quella sorta di ossequio all’onorata società che ha il sapore di altri tempi.
Tempi remoti, che riflettono le condizioni economico sociali della realtà contadina della #Sicilia ottocentesca, in cui era endemica la logica dello sfruttamento da parte di una nobiltà feudataria, pronta a tutto pur di non perdere i propri privilegi.
Come nasce la mafia
Era il 1812 quando un decreto pose termine al sistema economico feudale, ma il frazionamento politico dell’Italia consentì che questo sistema permanesse nella lontana Sicilia, almeno fino all’Unità d’Italia. E mai, come in questo caso, appaiono estremamente veritiere le parole di Cavour ‘ ‘Abbiamo fatto l’Italia, ma non gli Italiani’. Parole consegnate alla Storia attraverso un’analisi concreta delle profonde differenze economiche e sociali tra Nord e Sud.
Le differenze
Un Nord aperto a un industrialismo che risultò poi estremamente legato a un selvaggio liberismo economico e un Sud caratterizzato da un’economia prevalentemente contadina, sfruttata da nobili latifondisti.
Veri e propri feudatari che affidavano la gestione delle loro proprietà ai gabellotti, una sorta di amministratori, i quali riscuotevano le gabelle con metodi spesso violenti. Uno sfruttamento in piena regola che utilizzava anche minori, senza ovviamente garantirne un orario di lavoro.
Una condizione lavorativa che del resto caratterizzava anche il rapporto operaio- imprenditore nell’emancipato Nord
Le ribellioni del Sud
Il malcontento cresceva e i #contadini cominciarono a riunirsi in società segrete. Le ben note unioni o fratellanze
Di contro i gabellotti vedevano crescere le loro ricchezze e molti di essi acquisirono nel tempo il titolo di baroni. Fu proprio questo potere che, all’indomani dell’Unità d’Italia, consentì loro di stringere rapporti di collaborazione con i funzionari di questo traballante governo.
Quale la promessa? Garantire protezione, ordine e sicurezza in quelle zone così remote e lontane dal potere centrale dell’Italia di allora. E, in un crescendo di azioni poco ortodosse, dimostrarono nel tempo chi avesse realmente il potere in #Sicilia. Il territorio era nelle loro mani.
Il ‘900
Le cose non migliorarono nel nuovo secolo, anche se serpeggiò ovunque un moto di ribellione, sedato spesso con la violenza. Ciò, oltre alle condizioni di estrema povertà, portò a quello straordinario processo migratorio che caratterizzò gli anni del primo ‘900.
Si cercavano nuovi spazi, nuovi mercati e gli Stati Uniti rappresentarono quindi la meta ambita. Ma migrarono anche molti di questi registi del crimine che, una volta in America ampliarono i loro loschi affari, promettendo anche protezione alla gente comune che sbarcava il lunario.
Tutto però aveva un prezzo e il ‘pizzo’ da pagare, in cambio di quella protezione, fu la principale fonte di guadagno della mafia.
I siciliani comunque si trovarono spesso a confliggere con altre organizzazioni di stampo mafioso, provenienti da altre aree del Sud Italia, quali Calabria, Campania. E le ‘guerre’ colorarono di sangue spesso la quotidianità di quei luoghi.
Bisognava comunque legittimare un modus operandi criminale con una leggenda che motivasse il nascere di uno Stato nello Stato. Si rispolverarono così vecchi racconti che affondavano le proprie radici addirittura nel 1412.
La leggenda
Una leggenda in particolare emerse. Quella che aveva per protagonisti tre cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, fuggiti da Toledo dopo aver ‘vendicato l’onore’ della sorella.
Tre uomini d’ #onore quindi che approdarono sull’isola siciliana di Favignana. Un approdo felice, che consentì loro di nascondersi in grotte naturali per ventinove anni, undici mesi e ventinove giorni.
Riemersero solo nel trentesimo anno per fondare nel Sud Italia alcune società segrete, con un proprio codice e proprie regole alternative a quelle dello Stato,. simili alla “garduna”, cui appartenevano in terra iberica.
I tre decisero di separarsi e Osso, fondò la mafia in #Sicilia; mentre Mastrosso migrò in Calabria, dove fondò la ‘ndrangheta. Carcagnosso invece si trasferì a Napoli, dove costituì la camorra.
Giuramento e iniziazione
La leggenda descrive anche una serie di rituali e cerimonie d’obbligo per chi volesse aderire alle tre società. Cerimoniali che ancora permangono, specie nella ‘ndrangheta.
Qui, infatti, chi si affilia giura fedeltà in nome dei tre cavalieri di Toledo e, in odore di devozione, brucia un santino di San Michele Arcangelo, spillando anche tre gocce del proprio sangue. Seguono poi canzoni adeguate al contesto e musiche per sublimare l’evento.
Ma quali sono gli obblighi? Tanti, troppi, tra i quali emerge soprattutto il silenzio. Salvo poi pentirsi strategicamente per una nuova vita, lasciandosi alle spalle le dure leggi del crimine e gli omicidi commessi.
#IrmaSaracino