il barbiere

Nel Barbiere di Siviglia,capolavoro di Rossini, niente è come sembra, perché solo l’astuzia può far trionfare l’amore

Quando Gioacchino #Rossini (1792-1868) scrisse Il Barbiere di Siviglia aveva appena 24 anni e già nel suo capolavoro aveva operato un grande cambiamento musicale rispetto ai tempi.

Il libretto, scritto da Cesare Sterbini, è tratto dalla commedia dello scrittore francese Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799). Una satira lieve ma efficace sull’ottimismo della classe borghese in ascesa prima della rivoluzione. Satira nella quale lo scrittore aveva già caratterizzato i suoi personaggi con grande ritmo, piglio e gaiezza.

La rielaborazione di Rossini

Il pesarese, con la sua maestria, aggiunge alla vicenda ed ai personaggi una coloritura che li renderà immortali. Vecchi babbei, ragazze pruriginose, innamorati appassionati, tutori e ciarlatani sono i suoi personaggi.

Drammaturgicamente l’intreccio gioca su un doppio binario: quello di Figaro e Rosina, veloce, efficiente, determinato, senza sbavature e mezzi termini. Quello di Don Bartolo e Don Basilio, pavido, verboso, ampolloso, avido.

Protagonista indiscusso, Figaro. Annunciato dall’orchestra, con dirompente vitalità, salta in scena al primo atto con la cavatina Largo al factotum” senza precedenti nella storia dell’opera. Un vero ciclone meridionale che ammucchia in fretta parole su parole per avere sempre ragione. Non è solo un barbiere ma anche chirurgo, botanico, speziale, veterinario ma soprattutto il sensale più abile della città. La sua è una presenza minacciosa ed arrogante, che aggroviglia e semplifica, che annoda e scioglie.

Non ha affatto i connotati dei personaggi che lo circondano, tutti appartenenti al vecchio mondo, ma ha quelli del mondo a venire e cioè di quello che la società e la borghesia vedranno trionfare di lì a poco.

Il #Figaro di Rossini non è né buono né cattivo ma concede e si concede solo in vista di un utile preciso, un tornaconto che è soltanto economico. Come factotum sa di avere la città ai suoi piedi e la nobiltà a tiro di ricatto, una sorta di borghese protorivoluzionario.

E’ un personaggio puramente ludico, privo di spessore psicologico, cura la propria immagine con spregiudicatezza da profondo imbonitore. Si pone da subito all’insegna del travestitismo, è lui a consigliare al conte di camuffarsi da ufficiale ubriaco per introdursi a casa di Bartolo e aver modo di avvicinare l’amata Rosina.

E’ il modo in cui si presenta Dioniso al suo arrivo in città nelle “Baccanti” di Euripide. Figaro/Dioniso è ubiquo ed entra, non si sa come, attraverso “porte chiuse”.

Rosina

Degli altri personaggi del Barbiere di Siviglia solo #Rosina gli tiene testa e, sulla scia dei personaggi femminili cari a Rossini, pochissimo amorosi e disinvoltamente determinati, viene alla ribalta con la grande aria Una voce poco fa”.

E’ una giovane e bella ragazza, anche un po’ annoiata, e come lei stessa dice “è docile, obbediente e si lascia guidare” ma è anche furba e determinata e, se qualcuno la contrasta, sa diventare una vipera.

Vittima degli usi e delle consuetudini, ma non così vittima perché la docilità è sì femmina, ma lei è già preparata dalla nascita a graffiare gli avversari. Sogna l’amore e si è invaghita di un giovane sconosciuto con il quale vorrebbe realizzare questo sogno.

Ma il suo tutore la tiene praticamente prigioniera in casa, in un piccolo nucleo borghese dove si sente divisa tra l’amante vecchio( perché è questo il senso della parola “tutore”) e l’amante giovane.

A differenza delle altre eroine del melodramma, Rosina non ha bisogno, come Tosca, di uccidere per difendere il suo amore, non ha bisogno come Violetta di sacrificarsi per amore, non ha bisogno come Carmen di farsi uccidere per difendere la propria libertà. Lei ha un’arma più innocua ma altrettanto efficace, l’astuzia e l’inganno.

Il suo liberatore sarà proprio il Conte di Almaviva, il giovane che ama, il dio delle fanciulle, il cavaliere azzurro che si configura qui in un aristocratico di rango, uno di quelli che il grado sociale tiene fuori dalla mischia e che perciò ottiene ciò che vuole.

Il Conte di Almaviva

Giovane, bello, ricco e galante, il Conte è simbolo di una aristocrazia prerivoluzionaria corrotta che ritiene di poter far tutto con il denaro e sottomette Figaro a questa logica. Il loro incontro-scontro nel duetto del primo atto distingue in maniera inequivocabile i loro ruoli.

All’esuberante frase del Conte “Ah che d’amor la fiamma io sento”, Figaro ribatte seccamente e con uno ostinato increscendo “Delle monete il suon già sento, già viene l’oro, già vien l’argento”. Il sentimento è dunque giocato su un banco di compravendita continuo. Mente e cuore sono mossi dal metallo e dall’”idea del metallo”.

Se il Conte e Rosina ingannano per amore, Figaro invece inganna per convenienza economica. Il denaro è il vero protagonista dell’opera e la vince sull’amore. Il suo portavoce scenico, Figaro, la vince sull’amoroso Almaviva.

Il filo conduttore

Il denaro, in realtà, è il filo conduttore tra tutti i personaggi. Don Basilio, il maestro di musica, la cui filosofia sta nella frase vengan danari, al resto sto qua io” è un vecchio ipocrita, collotorto, dalla finta autorevolezza, “solenne imbroglion di matrimoni”.

Don Basilio è descritto con crudele minuzia nelle sue tortuosità nella celebre aria “La calunnia è un venticello”. I probabili effetti, che derivano da una malvagia calunnia, sono il suo vanto, un saggio di oratoria diffamante. E quando, ad onta della sua furbizia, si trova di fronte ad una situazione ingestibile ed incomprensibile gli conviene ritirarsi accettandosi malato.

Accanto a lui, Don Bartolo, il dottore, tutore di Rosina, ridicolizzato, ha la condanna di tanti suoi colleghi delle opere comiche rossiniane: la perdita di controllo sulla realtà.

La sua è una personalità nevrotica e bisbetica. Antiquato di mente, ha sempre un atteggiamento dispettoso ed imbronciato, un vecchiotto dagli scatti ancora infantili. Anch’egli desidera Rosina solo per “mangiarle la dote” tant’è che quando alla fine si vede riconosciuta dal conte una somma equivalente non sembra poi tanto scornato.

I personaggi rossiniani

I personaggi rossiniani, in una giostra di dinamiche briose, si alternano come creature vive, realizzate a tratti vigorosi, a tinte vivacissime, dal rilievo robusto e piene di un’allegria così perenne da dar l’impressione che abbiano cento diavoli in corpo.

L’intera storia dell’opera buffa era basata sull’inganno in vista di una soluzione felice, per lo più di intrigo amoroso. Tradizionalmente le azioni “basse” erano delegate in scena al secondo protagonista, vile di animo come di condizione, servitore per lo più,.

Si salvaguardava in tal modo anche la funzione morale del teatro. Nel Barbiere di Siviglia invece la spalla di chi agisce, soppianta così il protagonista e lo relega in secondo piano. Per conseguenza, il consigliere di inganno, un tempo subdolo e insinuante, agisce a cielo aperto non ritenendo né utile, né necessario ammantarsi nemmeno del colore aurato dell’ipocrisia.

Tocca a Figaro portare allo scioglimento della vicenda avendo fretta di porre fine all’intrigo e nel finale eccolo irrompere sulla scena con impazienza riportando tutti alla realtà. Concluderà con un generico auspicio:

                             Di sì felice innesto

                             serbiam memoria eterna;

                             io smorzo la lanterna;

                             qui più non ho che far.

E spegne effettivamente il lume, cosicchè, a rigor di logica scenica e teatrale, gli altri dovrebbero restare al buio per cantare il loro “Amore e fede eterna”. E non è una logica che potesse essere casuale sotto la penna di un attardato e deluso figlio dell’Illuminismo come Rossini.

Il capolavoro rossiniano esce così ancora oggi dalla cornice del tempo come se scoppiasse di salute, con una vitalità così esplosiva da polverizzare ogni confronto.

#BrunoMatacchieri

Di Bruno Matacchieri

medico psichiatra, scrittore, esperto di opera lirica