Ultimo appuntamento della stagione invernale del Taranto Opera Festival. Sul palco del Teatro Orfeo di scena ieri Il Trovatore. Tante le luci, ma troppe le ombre della rappresentazione
Tra luci ed ombre, nuovo appuntamento con la lirica ieri sera al Teatro Orfeo di Taranto. Sulla scena, il #Trovatore.
Un’opera complessa e vocalmente difficle, che esprime tutta la passionalità prorompente del suo autore, Giuseppe #Verdi. Un tassello significativo della produzione lirica ottocentesca, innovativo e complesso.
Un grazie dunque, agli sforzi profusi dall’Associazione Musicale ‘Domenico Savino’ che da anni organizza questi incontri con la lirica nella città dei Due Mari, ma anche un’esortazione a curare alcuni dettagli.
La rappresentazione
Di per sé il complesso tessuto narrativo del #Trovatore richiede una certa vivacità scenica , caratterizzata da mutamenti rapidi e ambientazioni suggestive. Elementi totalmente assenti ieri sera nei quadri scenici allestiti dal pur bravo Damiano Pastoressa, coadiuvato dalla scenografa Silvia Giancane.
La scenografia, infatti, sia pur limitata dall’esiguità dello spazio scenico, non ha brillato per vivacità. Incentrata essenzialmente, per tutta la durata della rappresentazione, su un’unica ambientazione, dominata trionfalmente da una scala. E sul cui sfondo, in un eccesso di piatto minimalismo, sono apparse malinconiche bozze di alberi o teli strappati.
Né il suggestivo gioco di luci, creato dall’abile Pier Francesco Chiurlia, ha saputo dare corposità al vuoto scenico
In questo contesto, più o meno rappresentativo della Spagna del XV secolo, si sono avvicendati i personaggi, alcuni magistralmente resi dai loro interpreti, altri privi di spessore.
Gli interpreti
In questa che è indubbiamente l’ #opera più sanguigna della produzione verdiana, la molteplicità delle passioni ha trovato voce e giusta espressione nell’interpretazione data dal soprano Daria Masiero di Leonora. Donna capace di scatenare passioni irrefrenabili in Manrico( Il Trovatore) e nel conte di Luna. Rivali in amore e fratelli inconsapevoli del loro legame.
Una rivalità che approderà ad un epilogo tragico con la morte di Manrico, reso tiepidamente dal tenore Ugo Tarquini, decisamente sottotono. Ma anche con la morte di Leonora, che sceglie il veleno pur di non cedere alle concupiscenze del conte di Luna, interpretato validamente da Luca Simonetti.
Ma la rivelazione di questa rappresentazione, sia per voce che per padronanza scenica, è stata Giulia Diomede. Questa, nelle vesti di una straordinaria e passionale Azucena, ha fatto brillare di mille luci il suo personaggio, che ha assunto così vita, colorandosi di molteplici sfaccettature.
Donne alla ribalta, quindi. Donne capaci di accendere i riflettori anche sulle ombre create da un coro malandato e poco attento al suo ruolo.
Un coro, quello dei Tarenti Cantores, fin troppo flebile nei suoi interventi extrascenici, ma anche sulla scena.
Ineccepibile invece la performance di Gianfranco Zuccarino, che ha indossato i panni di Ferrando.
Conclusioni
In sostanza, la complessità dell’opera rappresentata, impreziosita da una direzione d’orchestra di tutto rispetto quale quella del maestro Bizzarri, ha trovato nella regia di Luigi Travaglio una sua dimensione.
Cosa non facile, tenuto conto delle numerose ombre che cupamente si sono addensate sulla messa in scena di questo unicum della produzione verdiana.
#IrmaSaracino