Hiroshima

A Hiroshima il cuore di qualsiasi visitatore dall’animo sensibile avverte una profonda pugnalata

Ad una prima osservazione Hiroshima appare nella sua normalità di città moderna, all’avanguardia, tecnologicamente organizzata, come tutte le altre città del Giappone. Sembra che nulla sia accaduto.

Eppure il suo nome resta indissolubilmente legato alla data del 6 agosto 1945, quando, alle ore 08,16, il bombardiere B-29 Superfortress “Enola Gay” della flotta aerea statunitense sganciò sull’area urbana il primo ordigno nucleare della storia umana.

I morti all’istante furono 90.000 circa, la maggior parte civili, ma le stime arrivarono a contarne 200.000 comprendendo anche coloro che furono uccisi dalle conseguenze della deflagrazione.

L’equilibrio politico internazionale cambiò definitivamente. Ma cambiò anche la storia di questa città.

Questa data avrebbe segnato un netto confine tra il “prima” e il “dopo”.

Hiroshima

Fondata alla fine del XVI secolo, agli inizi del ‘900 Hiroshima appariva in tutta la sua eleganza di città industriale, ma protesa verso una sensibilità artistica.

Simbolo della città era il Centro Espositivo Industriale, disegnato dall’architetto ceco Jan Letzel. Il palazzo, costruito nel 1915, era deputato a mostra dei prodotti industriali e sede della Fiera Commerciale.

Fu proprio questo edifico, simbolo del “prima”, che sopravvisse miracolosamente alla deflagrazione diventando anche simbolo del “dopo”. E’ rimasto in piedi perché era quasi esattamente all’ipocentro della esplosione atomica, avvenuta a 150 metri al di sopra di Hiroshima, e non subì il terrificante impatto dell’onda d’urto.

All’interno ed all’esterno tutto fu distrutto ma le mura perimetrali rimasero quasi intatte. Oggi il suo scheletro, la “Cupola della Bomba Atomica”, patrimonio dell’UNESCO, è il simbolo della violenza e dell’orrore perpetrati dalla logica perversa della guerra.

Tutt’intorno, il “Peace Memorial Park” appare in tutta la sua eleganza e cura in contrapposizione al ricordo di una devastazione senza precedenti.

La “Fiamma della Pace”, che arde elegante, ma triste, tra il verde lussureggiante del parco, sembra contenere le lacrime della sofferenza e aspetta rassegnata quel giorno, che appare sempre più lontano, in cui, andato distrutto l’ultimo ordigno nucleare, sarà finalmente spenta.

Passeggiando nel parco, mentre le emozioni vanno alla ricerca di qualcosa, non di una ragione, perché una ragione non esiste, ci si imbatte nel “Children’s Peace Monument”. Il memorial dedicato a tutti i bambini morti in conseguenza dell’esplosione e, in particolare, a Sadako. Una bambina di 11 anni deceduta per leucemia causata dalle radiazioni nucleari.

Sadako

Una bambina che è diventata il simbolo di tutti i bimbi coinvolti nell’esplosione o negli effetti che questa ha causato.

Sadako, quando scoprì di essere malata, decise di realizzare mille gru di carta. Una tradizione giapponese dice infatti che se si creano mille gru è concesso di realizzare un desiderio.

Il desiderio di Sadako era quello di avere un mondo senza armi nucleari, ma morì prima di raggiungere il suo obiettivo. I suoi compagni di scuola allora continuarono quella impresa e raggiunsero le mille gru.

Da allora tutti i bambini in visita offrono al mausoleo una gru di carta, come segno di devozione, e ogni anno i bambini giapponesi per ricordarla creano dei murales con gli origami a forma di gru.

La ricostruzione

Le operazioni di ricostruzione della città iniziarono già dal 1949, con cospicuo contributo economico del governo degli Stati Uniti.

Il Diritto Internazionale non prevede un risarcimento per danni dovuti ad operazioni belliche né gli Stati Uniti hanno mai chiesto ufficialmente scusa al Governo giapponese. Il loro intervento economico è stato spinto esclusivamente dall’interesse di avere nel Giappone un alleato che potesse costituire un valido baluardo all’avanzamento del comunismo orientale.

Quando a scuola ci veniva raccontato della tragedia, ci veniva mostrato la foto del fungo atomico, la paura di una guerra nucleare ci spaventava. Adesso, trovarsi in questo luogo con i piedi sul terreno deflagrato dalla bomba, si riesce a dare un’immagine vissuta di questi luoghi e delle persone che sono perite.

E quella che era paura si trasforma in rabbia e dolore che dovrebbe spingerci a lavorare attivamente per un disarmo mondiale definitivo.

Solo mettendo piede ad Hiroshima, nonostante la città sia stata imbellettata dagli Americani nel vano tentativo di cancellarne l’orrore, si riesce a sentire vivi questa rabbia e questo dolore.

#BrunoMatacchieri

Di Bruno Matacchieri

medico psichiatra, scrittore, esperto di opera lirica