Un’esperienza toccante, una storia, quella di Aurora Mardiganian, che mette a nudo la sofferenza di un popolo
Protagonista e testimone sopravvissuta della persecuzione del popolo armeno, Aurora, all’età di soli 14 anni, comincia un percorso fatto di sofferenze e violenze
Il viaggio
Viaggiare oggi in #Armenia non può evitare al visitatore di immergersi nella storia di questo #popolo. Quello che da molti fu definito un genocidio, perpetrato dal Governo Ottomano dal 1915 al 1919, ha radicalmente cambiato il sentire e l’emotività degli Armeni. Un popolo dall’identità forte, dove la religione è strettamente radicata e ne traccia un percorso indelebile.
Qui, l’arte e la cultura sembra che passino in secondo piano, rispetto alla storia cruenta e brutale che questo #popolo millenario ha subito. Ogni chiesa, ogni sito archeologico, persino ogni panorama, sembra che ci parli della sofferenza del popolo armeno.
Il Caucaso, crocevia di diversi popoli con diverse culture, lingue e religioni, è stato sempre teatro di guerre, conquiste, persecuzioni. Dai Bizantini ai Russi, dai Turchi ai Persiani, tutti hanno avuto su questa terra mire espansionistiche.
Raggiungere uno sbocco al mare, imporre la propria religione, acquisire territori per motivi economici sono stati i motivi che hanno reso questo territorio terra di conquista. E l’Armenia ne ha pagato il prezzo più caro.
La storia di Aurora
In questo teatro di sangue, morte, violenza, ha inizio la storia di Aurora. Una bambina di 14 anni, figlia di una famiglia armena benestante di Cemisgezek, nella Turchia ottomana.
Il comandante ottomano Husein Pasha la chiese per il suo #harem in cambio della salvezza di tutta la sua famiglia. Il padre rifiutò e Aurora fu testimone del massacro dei suoi cari.
La sua bellezza le aveva salvato la vita, ma passò da un #harem all’altro per poi essere venduta al mercato degli schiavi dell’Anatolia. Riuscì a scappare e il suo peregrinaggio attraverso Tbilisi, San Pietroburgo ed Oslo la condusse nel 1917 a New York.
Sedici anni, sola, povera, senza conoscere una sola parola di inglese, aveva come unico scopo la ricerca disperata di uno dei suoi fratelli, che le avevano detto essere ancora vivo, ma che mai ritrovò.
Voleva lasciarsi alle spalle le atrocità di cui era stata testimone nel suo paese natale e gli USA avrebbero potuto ben costituire per lei nuove opportunità.
Una nuova vita
Accolta da una famiglia armena, la sua ricerca del fratello mediante annunci sui giornali, la fece conoscere ai media americani. Presto lei e la sua storia divennero famose, era diventata l’emblema delle sofferenze subite dal popolo armeno.
Harvey Gates, famoso sceneggiatore hollywoodiano, vide subito in lei l’occasione per una redditizia produzione letteraria e cinematografica. La convinse a scrivere una sua biografia, pur non conoscendo l’inglese, e a girare un film sulla sua storia, da lei stessa interpretata.
Cominciò così una nuova fase della vita di Aurora che sembrava assumere i contorni di una favola a lieto fine ma che invece portò ad un altro dramma.
Il lato oscuro di Hollywood
Il dorato mondo di Hollywood l’aveva fagocitata nella sua macchina feroce. A Los Angeles rivisse il suo incubo da cui era scappata. Le immagini più cruente, che avevano segnato la sua giovane psiche, le dovette reinterpretare. Persino un incidente sul set, in cui aveva riportato piccole ferite, fu sfruttato cinematograficamente per indurre il pubblico americano a pensare che fossero cicatrici di ferite da torture subite.
Senza nemmeno un sostegno psicologico, quello che per lei avrebbe dovuto essere un delicato periodo di recupero, divenne la dolorosa messa in scena delle esperienze vissute durante il genocidio.
Si trovava in mezzo ad un altro tipo di barbari, disposti a tutto pur di incassare al botteghino.
Il dramma di Aurora
“Uscendo dal camerino, vidi gente con il fez. Fu uno shock. Pensai che mi avessero ingannato. Pensavo che volessero consegnarmi a quei turchi per mettere fine alla mia vita. Allora scoppiai a piangere disperatamente”.
Un anno dopo l’uscita del suo film, Aurora, affetta da probabile “Sindrome post traumatica da stress”, tentò il suicidio.
La casa produttrice cinematografica la sostituì subito con alcune sosia per proseguire nella campagna pubblicitaria mediante interviste ed eventi sociali. Ma, nonostante il grande successo di pubblico, il film fu prima censurato e poi ritirato.
Aurora Mardiganian si sposò con un altro sopravvissuto armeno. Morì a Los Angeles, in una casa di riposo all’età di 92 anni, sola e dimenticata da quel mondo che l’avrebbe dovuta tutelare nella sua integrità psichica.
La bellezza l’aveva salvata dalla morte ma non era stata in grado di offrirle una vita serena a rispettosa.
Non è stata dimenticata però dal popolo armeno che la considera oggi un simbolo di rinascita, in attesa che l’Armenia possa armonizzarsi pacificamente nella sua cornice di panorami mozzafiato.
#BrunoMatacchieri