Elisir

Di scena ieri sera, al Teatro Fusco di Taranto, l’Elisir d’amore di Donizetti, rivisitato per l’occasione in versione local-kitsch

Sul palco del #Teatro Fusco di Taranto, ieri sera, l’Elisir d’amore. #Melodramma giocoso, in due atti, di Gaetano #Donizetti. Una rappresentazione caratterizzata da un allestimento scenico infarcito di  elementi celebrativi degli sponsor, nonché  pregna di toni campanilistici, ben lontani dall’ambientazione originaria dell’opera di #Donizetti.

Elisir d’amore, tra pizzica e caffè di Ninfole

Non c’è mai limite al cattivo gusto! E’ questa l’amara considerazione di quanti, al di là dei facili entusiasmi popolari, hanno osservato stupiti  le luminarie, di sapore nostrano, che hanno fatto da sfondo  alla vicenda amorosa di Adina  e Nemorino.

Una storia, originariamente, ambientata nella realtà contadina dei  paesi  baschi alla fine del XVIII secolo da Felice Romani, poi musicata da Donizetti. Una vicenda semplice, con un tessuto narrativo decisamente popolare che, ieri sera, in una  nuova e discutibile veste,  ha celebrato gli usi e costumi del nostro territorio. Ovviamente attuali.

Ma ciò che maggiormente ha sorpreso è stata la celebrazione degli sponsor  dell’organizzazione e i manifesti relativi all’opera rappresentata.

 Così dalla banca di San Marzano, presente sulla scena  con un suo decoroso sportello bancomat, e dalla botte di  vino Varvaglione fino al caffè Ninfole  lo spettatore è stato trascinato in un clima di  sagra popolare, impreziosito da un intermezzo di ‘pizzica’.

E,ovviamente, ci si è chiesti di che opera si trattasse!

Una scenografia, a dir poco discutibile, quindi, quella di Mariangela Mazzeo, nella quale gli abiti indossati dagli interpreti sono stati quelli dell’attuale quotidianità. Inutile e ambizioso, dunque, parlare di costumi!

Né, alla luce di queste considerazioni, ha convinto la regia di Maria Selene Farinelli, che pur vanta un curriculum più che decoroso.

Il coro

In questo contesto, comunque, si sono mossi in una coreografia forse troppo forzata i membri del coro che hanno, musicalmente, rappresentato un punto fermo e di alto spessore

Il ruolo del coro, fondamentale  in questo melodramma, si è espresso infatti nel migliore dei modi, con omogeneità vocale e potenza espressiva.

Un grazie, quindi, a Carmen Fornaro, maestro del coro, che non ha tradito le aspettative di quanti la seguono da tempo.

Gli interpreti, l’orchestra

Grande professionalità e capacità espressiva da parte degli interpreti che, in questa cornice poco esaltante, hanno comunque dato vita ai loro personaggi con una vocalità , in alcuni casi, davvero di rilievo.

Il tenore Francesco Castoro, nei panni di Nemorino, è stato sorprendente per  potenza vocale e capacità interpretativa.  Ma anche Adina, interpretata da Claudia Urru, ha saputo dare una nota di dolcezza al suo personaggio con la sua voce ben modulata e ben impostata.

Il baritono Filippo Polinelli, nei panni di Dulcamara, con la sua voce potente, ha riempito la scena, rendendola vibrante e pregna di suggestioni vocali.

E valide anche le interpretazioni di Stefano Marchisio, nei panni  di un Belcore armato di trolley, nonché quella di Francesca Pusceddu, nei panni di Giannetta.

Ineccepibile la direzione d’orchestra del maestro Gianluca Marcianò.

Considerazioni

Quanta amarezza e quante perplessità vi sono negli amanti del bel canto che, in questi tempi sofferti culturalmente, assistono impotenti alla decontestualizzazione dell’opera lirica.

Una tendenza che va affermandosi sempre più e che svilisce il melodramma, lo impoverisce, creando un contrasto stridente tra il dialogo e la rappresentazione scenica.

E, di fronte ad allestimenti scenici come quello di ieri sera, ci si chiede: quando finirà questa tendenza?

#IrmaSaracino