Gori, la città natale di Stalin, tenta di liberarsi di un pesante fardello, il suo cittadino più famoso
Il turista che oggi visita Gori, città della Georgia, a prima vista, rimane indifferente di fronte alla mancanza assoluta di qualsivoglia attrattiva turistica. Niente montagne, niente laghi, niente monumenti, tranne la sua fortezza un po’ in abbandono.
Stalin, un cittadino ingombrante?
Sembra che persino le tracce del suo “illustre” cittadino siano scomparse. La famosa statua di bronzo di #Stalin, alta sei metri, che troneggiava al centro della piazza principale, è stata rimossa nel giugno del 2010, di notte e senza il minimo preavviso, dall’allora Presidente Mikhail Saakashvili, di formazione e cultura americana.
Ne é rimasto uno squallido, grigio, basamento da alcuni definito “una ferita dolorosa della città”. Poi, nell’agosto 2013, è stata riposizionata nello stesso luogo per volere del nuovo Presidente. Progetto futuro, trasferimento della statua all’interno del #Museo Stalin.
Tutti segni di una diatriba politico-culturale tra amministrazioni opposte che riescono alla fine a trovare un incerto compromesso. Ma ciò che include questa città nei comuni circuiti turistici del paese è proprio il Museo di Stalin.
Qualcosa di buono
“L’unica cosa di buono che ha fatto per il nostro paese…”, ha sentenziato la guida che ci ha accompagnato.
Il #museo fu voluto dallo stesso dittatore, che ne commissionò la costruzione di fronte alla sua casa natale. E, per realizzare l’ambizioso progetto, furono abbattute tutte le case situate attorno alla sua, che ora, opportunamente restaurata, fa parte del polo museale insieme al lussuoso treno che lo accompagnava nei lunghi viaggi propagandistici.
Fu quindi eretto un enorme e costoso edificio dove il visitatore è accolto, nel lussuoso foyer, dalla statua di marmo bianco di #Stalin, in cima ad una regale scalinata con tappeto rosso.
Il dittatore è ritratto in un atteggiamento austero e minaccioso, con la mano in tasca, nella sua tipica uniforme militare, unico abito indossato in pubblico.
Zio Soso
“Zio soso”, così era amorevolmente chiamato dai suoi concittadini ai tempi della sua popolarità, ha voluto lasciare, con un museo, traccia di sé e del suo fervore politico. La sua esaltazione ed ipomaniacalità la si legge nella sua ostinazione ad utilizzare lo pseudonimo “Koba”, ispirandosi al protagonista del romanzo “Il Patricida” dello scrittore georgiano Alexander Kazbegi.
Il romanzo è un’opera molto dura contro la dominazione zarista nella Georgia di fine Ottocento. Con esso lo scrittore volle spronare il suo popolo alla lotta per la libertà e l’uguaglianza.
Di questo personaggio Stalin ne fece un modello di riferimento per la sua lotta politica, dando un senso alla sua vita. Si sentiva un “moderno Koba” pronto con fanatismo e intolleranza allo scontro, e ne era orgoglioso, tanto da pretendere di essere chiamato con questo pseudonimo.
Il museo
Nel museo sono esposti oggetti, #documenti, fotografie, cimeli personali, regali che ripercorrono la vita di Stalin da quando frequentava la scuola parrocchiale di Gori fino alla sua morte.
Interessante, tra i #documenti esposti, un testamento politico di Lenin, del 1922, che descrive Stalin come “rozzo e assetato di potere”, e consiglia ai membri del Partito Comunista di sollevarlo dall’incarico di Segretario Generale.
Accanto alle ottime pagelle scolastiche di “Stalin bambino” si possono ammirare persino le sue poesie giovanili, di discutibile valore letterario, che si dice siano state studiate, durante il periodo bolscevico, dai bambini delle scuole elementari di tutta l’Unione Sovietica. Ma è l’ultima sala, enorme e fiocamente illuminata, che avvolge il visitatore in un’atmosfera tenebrosa.
La copia in bronzo della inquietante maschera mortuaria del dittatore sembra emergere magicamente su un piedistallo, nel centro della sala, con l’effetto di una testa mozzata.
Il museo non è un obiettivo ed equilibrato resoconto della carriera politica dello statista, ma è un riverente omaggio al figlio di Gori, che segnò la storia mondiale del XX secolo.
Inaugurato nel 1957, l’esposizione e l’articolazione delle sale è rimasto identica a come lui le volle. Ma i Giorgiani, una volta liberatisi dall’oppressione sovietica, per dovere di verità, hanno aggiunto in un sotterraneo due sale. In esse, aggiunte negli ultimi due anni, sono esposti documenti, fotografie, strumenti di tortura, oggetti, vestiti. Tutte testimonianze di quella che fu la spietata repressione politica durante la dittatura stalinista.
Riflessioni
Ed ecco che lì, in quelle sale, ancora una volta, il cuore del visitatore si ferma. Come si ferma quando si trova nel Campo di Sterminio di Auschwitz, o nel Museo della Bomba Atomica di Hiroshima, o al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, o al Museo del Genocidio Armeno di Yerevan.
Tutte testimonianze della brutalità, aggressività e violenza perpetrate dall’uomo su altri uomini. Luoghi del pianto e della riflessione, ennesima constatazione della ferocia ed efferatezza del genere umano.
#BrunoMatacchieri