La testimonianza sofferta di una donna che per 50 anni ha subito violenza da un marito carnefice, mentre riaffiorano le voci e i ricordi del passato.
Il dolore non si cancella mai e rimane scolpito sul volto. Le parole sono inutili, quasi impossibili, quando l’inferno vissuto riaffiora con le sue immagini terribili, con quei #ricordi che tornano prepotentemente come incubi, mentre echeggiano voci e grida di un passato impossibile da dimenticare.
La testimonianza
Difficile rompere quel silenzio che ha avvolto la sua vita matrimoniale in nome di un decoro, spesso, imposto da una società che un tempo non consentiva alla donna la ribellione.
Tutto scorre dinanzi ai suoi occhi, tutto appare nella sua crudezza, nella sua illogica #violenza.
Il suo nome? Preferisce non rivelarlo. Ormai tutto è andato, si è logorato, come la sua vita. Una vita spesa nella prigione della #paura.
‘ Com’era lui durante il fidanzamento? E quanto è durato?’ le chiedo per rompere il ghiaccio e portarla a parlare. A rivelarsi in tutto il suo dolore.
‘Violento’, mi risponde con voce flebile, sommessa. ‘ Già dal secondo mese cominciò a picchiarmi, anche in presenza dei miei genitori’
Rimango sconvolta da questa affermazione e una serie di interrogativi affolla la mia mente, mentre le chiedo ‘ Ma come è possibile? E i tuoi hanno tollerato questo?’
‘No, mia madre lo denunciò, ma senza alcun esito’ tace e i suoi occhi si perdono nel vuoto di quei #ricordi terribili.
‘Scusa, ma quanto è durato il fidanzamento?’
‘ Quattro anni’ dice con un malcelato pudore ‘ Poi, il matrimonio’
‘ Ma lo amavi a tal punto da consegnarti a un carnefice?’
’No’, risponde chinando gli occhi ’ avevo #paura’
Il matrimonio
‘ Il matrimonio peggiorò la situazione, mi picchiava quasi ogni giorno. Ero il suo oggetto e dovevo dipendere da lui totalmente. Non voleva che lavorassi e non mi dava neppure lo stretto necessario per vivere, giungendo a chiudere a chiave anche il frigorifero.’
Le sue parole fotografano una realtà che spesso preferiamo ignorare. Una realtà che racconta la barbarie e l’omertà di una società che ha sempre relegato la donna nel ruolo di vittima. Specie nel nostro Sud.
Rimango sconvolta da quei dettagli mostruosamente veri che mi parlano di una smania di possesso, a dir poco, patologica. E le chiedo di parlarmi della nascita di suo figlio, del suo ruolo di madre in questo inferno.
‘ Cambiarono le cose con la nascita del figlio?’
‘No’, un singulto represso la scuote’ la #violenza continuò ed anche il bambino visse in questa atmosfera da incubo. Poi, divenuto ragazzo, mi salvò persino dalla morte.’
Rimango annichilita e attendo che le voci del passato fluiscano nella sua mente.
Il coltello
‘Una volta mi mise un coltello alla gola. Voleva uccidermi, ma l’intervento di mio figlio scongiurò il peggio’ china il capo affranta e, ormai superata la soglia degli 80 anni, vede la sua vita scorrerle tra le mani, sbriciolata come sabbia impalpabile, pronta a perdersi nel vento.
‘ Scusa, perché non l’hai denunciato?’
‘L’ho fatto. Tante volte’
Preferisco non insistere, non voglio infierire su quel dolore che appare come una piaga mai rimarginata.
‘ Del resto dormiva col coltello sul comodino, pronto ad uccidermi’
‘ Perché?’ chiedo allibita ‘ come si giustificava?’
‘Diceva che era colpa mia. Bastava che guardassi un uomo, persino mio figlio, per scatenare l’inferno.
L’epilogo
‘ Quanto è durata questa prigionia? Queste torture?’
‘ 50 anni’ risponde ‘ Poi la sua malattia e, infine, la sua morte, nel 2004’
La guardo perplessa e le chiedo ’ Che hai provato quando è morto?’
‘ Paura, avevo #paura che si risvegliasse. Che non fosse vero. Ma anche un senso di liberazione’
‘Poi?’
‘Ho raccattato i cocci della mia vita e ho trovato in mio figlio la forza di andare avanti’
C’è troppa amarezza, troppa sofferenza in queste parole e decido di non proseguire.
Il nostro colloquio finisce qui.
Una vita spezzata
Era il 1965 quando la protagonista di questa amara vicenda sposò il suo aguzzino. Da allora che cosa è cambiato?
#IrmaSaracino