Capolavoro del tardo Barocco napoletano, il Cristo deposto della Cattedrale di Capua é l’espressione del dramma di un uomo vittima del suo destino
Uno degli artisti più rappresentativi del tardo Barocco napoletano é indubbiamente Matteo #Bottiglieri. Un artista aperto a spinte innovative, molto più realistiche delle usuali e sovrabbondanti leziosaggini barocche. Un artista non incline ad una passiva sottomissione ai dictat clericali in ambito artistico che, nel #Cristo deposto di #Capua, caratterizza l’uomo e il dramma di un destino assurdo.
Un artista troppo dimenticato
Poche le notizie relative a questo straordinario artista che meriterebbe un posto di primo piano nel panorama, spesso controverso e contradditorio, dell’arte. Specie di quella del ‘700.
Di lui si sa che nacque a Castiglione dei Genovesi, nella provincia di Salerno,nel 1696 e che, successivamente, fu molto attivo nella Napoli dell’epoca, fulcro di cultura e di espressione artistica. Ma, indubbiamente, in quella giungla di pittori e di scultori straordinari del XVIII secolo non riuscì ad essere protagonista, pur collaborando con artisti di chiara fama, sia nell’ambito della scultura che in quello della pittura.
Aperto alle spinte innovative, proiettate verso un’umanizzazione del divino,( caratteristica già presente nella gloriosa stagione artistica del nostro Rinascimento) cercò nei suoi moduli espressivi una fusione tra innovazione e tradizione. E, nella sua Arte, il divino si fece reale, concreto, scevro da ogni retorica enfatizzante.
Un aspetto, questo, tangibile nel suo capolavoro assoluto: il Cristo deposto. Una scultura che parla e che traduce in poesia il dramma di un uomo, vittima della crudeltà umana, oltre che del suo destino.
Il Cristo deposto, immagine di una tragedia
Avvolto dal silenzio eterno della morte, nel sacello del Duomo di Capua, giace dal 1724 un uomo, deposto su un giaciglio freddo di marmo.
Intenso, drammaticamente scomposto nella tensione e negli spasimi evidenti della sofferenza, il suo corpo, segnato da evidenti lacerazioni, s’impone per la potenza della sua fisicità.
E il suo volto esprime tutto il dramma di una giovane vita spezzata.
L’umano prevale, dunque, sul divino in questa straordinaria scultura che trasmette un pathos fuori del comune ai visitatori.
Tutto é lì, scolpito in quel corpo armonicamente perfetto, caratterizzato da una muscolatura potente. Tutto il dramma dell’uomo, della sua storia, sono in quelle forme che rompono il silenzio, sussurrando parole inespresse, abbagliando col candore del marmo. E ognuno si compenetra emotivamente in quel momento tragico che racconta un’umanità preda di se stessa.
Cristo é raffigurato in tutta la sua nudità, non solo corporea, ma anche emotiva, che non si arrende ad una logica spietata e vorrebbe vivere.
Realismo e spiritualità
Una scultura straordinaria, dunque, che nella sua potenza e crudezza espressive, trascina chiunque nel vortice di un dramma che ha mutato la storia, ma non ha cambiato gli uomini.
Un unicum, nell’ambito della produzione scultorea, che non può essere paragonato ad altre opere. Una scultura che si fa voce lacerante, grido,, ma anche poesia.
#IrmaSaracino