Torna la regia di Martone al San Carlo di Napoli a rappresentare un Don Giovanni riveduto e corretto
Al San Carlo di Napoli, il Don Giovanni di Mozart, con l’innovativa regia di Mario Martone, che penalizza il bel canto e la musica del grande autore per dare spazio a una teatralità extrascenica.
Il racconto dell’attesa, della delusione
La magia di uno dei teatri più belli del mondo non é stata sufficiente a colmare le lacune della messa in scena del Don Giovanni di Mozart, pur tra gli stucchi dorati, il rosso intenso dei drappeggi di questo teatro, tempio della musica, in cui ci si perde in una dimensione altra, sovratemporale, fatta di bellezza e fastosità.
E, quando le luci si sono spente per cedere il passo a nuove luci, a nuove atmosfere, dopo l’ansia dell’attesa, é subentrata la delusione. Almeno in chi abbia una certa conoscenza del valore e del significato dell’Opera lirica.
Un’Overture priva di drammaticità
Se Mozart avesse potuto essere tra noi, indubbiamente avrebbe gridato allo scandalo di fronte all’esecuzione di un’Overture priva di quella drammaticità che lui ha saputo imprimere nella musica di questo suo capolavoro.
Eseguita dall’Orchestra del San Carlo, sotto la direzione di Constantin Trinks, l’Overture infatti non é stata più quell’esplosione immediata, prorompente, che preannuncia l’intensità giocosamente drammatica dei personaggi creati da Lorenzo Da Ponte.
Tutto sotto tono, tutto musicalmente inespressivo. Ma a chiarire ogni perplessità é intervenuta l’apertura del sipario.
Una scena inesistente
La scena, creata da Sergio Tramonti, non c’era. E solo panche, disposte a semicerchio, riempivano i vuoti del palco. Ma, in compenso, una passerella lignea circondava il golfo mistico dell’Orchestra.
Un vero oltraggio alla propagazione del suono, che veniva così smorzato nella sua sonorità. Ovviamente a danno dell’esecuzione dell’Orchestra.
Sul palco, gli interpreti, nei loro costumi d’epoca. Sulle panche, statiche figure umane.
Si era di fronte a un tribunale? Nelle intenzioni di Martone, valido regista cinematografico, sì.
Il processato? Naturalmente Don Giovanni, patologico seduttore.
Cominciava la sublimazione di quell’intellettualismo dei registi di oggi, saliti ormai nell’Olimpo dei divi, per i quali tutto diventa simbolo. Tutto si colora di una nuova veste, fuorviando così i nuovi spettatori dell’Opera lirica dalla comprensione della sua essenza.
Considerazioni
Ciò che stupisce in queste regie, imperversanti da un decennio anche in Italia, è lo stravolgimento totale del melodramma, talvolta anche dei libretti.
Ma in questa occasione, il pur bravo Mario Martone, avvezzo all’utilizzo della cinepresa, ha forse perso di vista le leggi della Fisica. Leggi che impongono, per la diffusione della sonorità, un luogo ben preciso, che nei Teatri di tutto il mondo si concretizza sul palco.
Il melodramma è infatti teatro, ma la vocalità degli interpreti non può essere inficiata da spazi metateatrali. Per carità trovate straordinarie, dal punto di vista teatrale, anche se il pubblico della platea non riesce a visualizzare determinate azioni, ma dannose nell’Opera lirica.
Gli interpreti
Deludenti, alla luce di queste considerazioni, sono state quindi le interpretazioni di Andrzej Filończyk, nei panni di un rocambolesco Don Giovanni, nonché quelle di Roberta Mantegna, la Donna Anna della scena, ma ancor di più non ha dato spessore vocale a Donna Elvira la pur brava Selene Zanetti.
Mentre ha convinto tutti Valentina Nafornita, una Zerlina sorprendente, affiancata da un Masetto sotto tono, interpretato da Pablo Ruizi.
E persino Antonio Di Matteo, il Commendatore, poi Convitato di pietra, è stato penalizzato da una posizione di grande effetto scenico nel finale dell’opera, ma che ha limitato la percezione della sua voce.
Ben diversa la condizione di Krzysztof Bączyk, bravissimo Leporello, quasi onnipresente sul palco ed anche fuori dal palco. Vero trionfatore della serata.
Speranze per il futuro
Di fronte alla moda di simili regie si deve considerare che i personaggi del melodramma , nella loro caratterialità, spesso stigmatizzano, anche nelle rappresentazioni classiche, tipi sociali e comportamenti sovratemporali, e nondimeno le ambientazioni scenografiche raccontano situazioni e realtà di frequente non avulse dalla nostra.
Ma al San Carlo ha prevalso, in questa rivisitazione del Don Giovanni, la teatralità, più o meno accompagnata dalla magia della musica e delle vocalità.
Purtroppo, emerge così un dato rilevante in questa giungla di regie innovative. Sono tanti coloro che sostengono la liceità dello stravolgimento. Ne consegue un dibattito acceso, fino a rasentare i toni della polemica più sterile, tra coloro che amano e sanno capire i messaggi dell’Opera lirica nella sua veste classica e quanti invece, ammantati di capacità intuitive rilevanti, amano il simbolismo esasperato delle attuali messe in scena.
Non ci resta che sperare in un futuro migliore per il melodramma e soprattutto augurarci che questa ‘moda’ abbia termine.
#IrmaSaracino