Con Regio Decreto del 13 febbraio 1927, n° 124, entrò in vigore la tassa sul celibato, voluta fortemente da Mussolini per incrementare la natalità italiana
Tutto per la Patria e, soprattutto, tutto in nome della Patria! Questo, in sostanza, il punto cardine della propaganda e dei provvedimenti del ventennio fascista. Provvedimenti che non davano spazio alle scelte individuali e che obbligavano a delle scelte imposte dal regime. Ne é un esempio questa tassa che penalizzava i rappresentanti del sesso forte, obbligandoli al grande passo: il matrimonio.
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E le donne? Fatte per procreare, private anche del diritto di voto.
La tassa, suoi obiettivi
Bisognava incrementare il numero delle nascite per poter far leva su materiale umano da utilizzare per obiettivi di grandezza nazionale. Obiettivi che, secondo l’ideologia fascista, nostalgica degli antichi splendori dell’impero romano, spettavano di diritto all’Italia. Ma in realtà era necessario per rimpinguare il glorioso esercito italiano.
Un tributo dovuto alla Nazione, dunque, che colpì circa 3 milioni di maschi italiani, ancora single.
Chi doveva pagare?
Soggetti al tributo erano tutti i celibi di età compresa tra i 25 e i 65 anni. Mentre l’elenco degli esentati era decisamente ed estremamente oculato.
Non dovevano pagare infatti alcun tributo sacerdoti o religiosi obbligati al voto di castità, militari vincolati da ferme speciali delle forze armate dello Stato, grandi invalidi di guerra, individui affetti da infermità mentale e, dulcis in fundo, stranieri, ancorché residenti in Italia.
Il contributo, esoso per le condizioni economiche dell’epoca, era di circa 70 lire per la fascia di età tra i 25 e i 35 anni, mentre penalizzava maggiormente i maschietti fino ai 50 anni, che dovevano pagare ben 100 lire.
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Le cose andavano meglio per la terza fascia, ovviamente considerata più improduttiva: ovvero fino ai 66 anni. Varcata questa soglia, evidentemente si era pronti per la rottamazione.
Ma la cosa non finiva lì. Non poteva di certo essere ignorato il reddito dei contribuenti, in base al quale si doveva versare un contributo integrativo.
Tali importi, come si conviene alle tassazioni italiane di ogni epoca, vennero aumentati nel 1934 e nel 1937, sempre in relazione ai redditi dei malcapitati.
L’ammontare complessivo, almeno nominalmente, veniva devoluto all’Opera Nazionale Maternità e Infanzia.
La tassa venne abolita, in un momento di saggezza illuminata, dal Governo Badoglio il 27 luglio del 1943.
Irma Saracino