don Pasquale

Con il don Paquale di Donizetti si chiude la stagione invernale del Taranto Opera Festival

E’ calato il sipario su quello che è ormai un appuntamento imperdibile per gli amanti della lirica a Taranto. Con l’ultima replica del don Pasquale di Donizetti infatti, ieri sera, i riflettori si sono spenti sulla stagione invernale del TOF che, quest’anno, ha riservato alla platea tarantina rappresentazioni di notevole spessore e livello.

don-locandina Il don Pasquale tarantino
La locandina del don Pasquale

E già c’é attesa per la stagione estiva che colorerà di emozioni in musica le calde notti estive della città dei due mari.

Luci ed ombre

Con il don Pasquale, opera buffa in tre atti di Donizetti, ieri sera, dunque, si sono spenti i riflettori del teatro Fusco di Taranto che hanno illuminato le passioni, i tormenti, dei protagonisti della scena, ma anche la grande musica dei nostri compositori.

Un crescendo di emozioni che hanno riscosso, in generale, il consenso della platea tarantina. E ciò in ragione di precise scelte degli organizzatori sia nell’ambito degli interpreti che nell’ambito delle regie, tendenzialmente avulse da quelle tendenze minimaliste che stanno offendendo l’Opera lirica italiana.

Ma, purtroppo ieri sera, la grande professionalità e bravura degli interpreti non é riuscita a colmare le lacune di una regia assolutamente discutibile. Una regia che si é avvalsa di una scenografia pressoché inesistente.

Difficile inffatti lasciarsi cullare dalla grande musica di Donizetti, rinvigorita da un’ottima direzione d’orchestra, ad opera di una bravissima Margherita Colombo. Difficile compenetrarsi nel dinamismo scenico di un’opera che fa dell’intrigo e dello smascheramento finale il fulcro della vicenda.

don3 Il don Pasquale tarantino
La brava Margherita Colombo

Ma, ancor più difficile, é stato immedesimarsi, in quel processo catartico che accompagna il teatro, nei personaggi che si sono mossi su una scena assente, dominata da un divano, indubbiamente di pregevole fattura, ma pateticamente posto in posizione di dominio sulla sommità di una scala bilaterale.

Tutto asettico, persino le spoglie piante che nell’immaginario della scenografa, Andrea Quadri, avrebbero dovuto rappresentare il giardino del terzo atto. Ma gli scenografi, si sa, spesso sono costretti a piegarsi ai dictat dei registi, diventati i divi del momento.

E, probabilmente, Eva Hribernik, regista di questa messa in scena, avrà imposto una rappresentazione atemporale di questo don Pasquale, come del resto testimoniato dagli abiti degli interpreti. Abiti, non costumi!

Resta solo da vedere che cosa abbia voluto simboleggiare con questo vuoto scenico. Forse non le é chiaro che l’opera non é un concerto, ma é anche atmosfera, ambientazione.

Nel vuoto, la bravura degli interpreti

Delusione nel pubblico? Tanta. Eppure in questo pietoso scempio rappresentativo di un’opera ambientata nella Roma dei primi dell’800, si sono mossi con straordinaria professionalità gli interpreti.

 Il don Pasquale tarantino
Il dott. Malatesta e Norina

Vocalità sorprendenti, quale quella di Matteo D’Apolito, straordinario Don Pasquale, affiancato dalla potente voce baritonale di Carlo Sgura, un convincente dott. Malatesta, hanno dato vita e vigore alla rappresentazione. E, alla tiepida performance di Julian Enao, nei panni di Ernesto, ha fatto eco l’interpretazione di Norina, ad opera della brava Silvia Caliò. Lodevoli anche gli interventi del coro dei Tarenti Cantores, diretto dalla competente Tiziana Spagnoletta..

Poi, le luci si sono spente su una rappresentazione che avrebbe potuto essere il fiore all’occhiello della stagione invernale del Taranto Opera Festival.

Irma Saracino

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